Il Quinto Veda
Il mondo fu creato dal dio Brahmā: Brahma nacque da un uovo d’oro e creò con il pezzo superiore del guscio il mondo celeste, con quello inferiore la terra e in mezzo mise lo spazio, le stelle e i pianeti. Il mondo si popolò e prosperò sotto la guida degli dei.
Poi qualcosa cambiò e gli uomini iniziarono ad essere dominati da rabbia, avidità e gelosia, gettando il mondo nel caos. Dunque gli dei chiesero a Brahma di intervenire.
Dopo lunghe riflessioni, il dio creatore decise di dar vita ad un’opera basata sui 4 sacri Veda che potesse guarire gli uomini e salvare la situazione. Prese la recitazione (pathyam) dal Rigveda, il canto (gitam) dal Samaveda; la gestualità teatrale (abhinaya) dallo Yajurveda e il sentimento (rasa) dall’Atharvaveda. Mescolò gli ingredienti e creò il quinto Veda (Natyaveda), la parola degli dei espressa attraverso il linguaggio più sacro: la danza. Con esso, gli uomini avrebbero ritrovato sé stessi, seguendo le leggi, ma anche godendo delle gioie della vita.
Brahma diffuse il Quinto Veda tra tutti gli uomini, senza distinzioni, ma scoprì che per loro era difficile da capire. Così incaricò il saggio Bharata di riscrivere il NatyaVeda in modo che fosse comprensibile per tutti. Il trattato che ne risultò venne chiamato Natya Shastra, e Bharata e tutti i suoi figli furono incaricati di diffonderlo nel mondo.
Il Natya Shastra esiste davvero ed è un’elaborata guida alla danza sacra indiana, le cui regole sono rispettate ancora oggi. Si dice che quando la danza sacra è eseguita nel modo appropriato, gli dei si manifestano sul palco e la coscienza umana si innalza.
Nella pratica della danza è richiesto ai ballerini di impiegare tutto il corpo, coordinando in modo preciso il battito dei piedi, i gesti delle mani, delle braccia, della testa, degli occhi e delle sopracciglia. Non per niente, il Natya Shastra nasce dall’unione di canto, recitazione, gestualità e sentimento: tutti gli elementi che caratterizzano la danza indiana antica e moderna.